Lo scorso 12 aprile, in quarta lettura alla Camera, è stata approvato il disegno di legge sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. La riforma costituzionale è stata approvata con la maggioranza assoluta dei membri. Come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, però, se una legge costituzionale viene approvata con meno di 1/3 dei componenti del Parlamento bisognerà istituire un referendum di tipo confermativo.
Per questo motivo è stato istituito il referendum costituzionale 2016 dove gli italiani voteranno per confermare, oppure bloccare, la riforma della Costituzione prevista dal ddl Boschi. Ecco, quindi, il link della Costituzione Italiana a confronto tra gli articoli prima della riforma e con le nuove modifiche:
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Anche la legge elettorale desta notevoli preoccupazioni, l’Italicum, infatti, è un altro punto da verificare ed è per questo che mettiamo a disposizione al seguente link un allegato che ogni cittadino può verificare personalmente:
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Le false motivazioni del SI (di Ettore Bonalberti)
Cerco con cura, tra le motivazioni addotte dai sostenitori del SI al referendum, qualcuna di seriamente sostenibile, ma, onestamente, non ne trovo alcuna. Quanto alla pretesa governabilità che il combinato disposto riforma costituzionale e Italicum garantirebbero, è evidente a tutti che il prezzo pagato al principio della rappresentanza è troppo elevato, tanto che non è paragonabile, né con quello della famigerata Legge Acerbo, né con quella democraticissima “Legge Truffa” degasperiana, che fissava il premio di maggioranza alla coalizione che avesse ottenuto il 50%+1 dei voti espressi.
In realtà il sistema è predisposto per garantire tutto il potere nelle mani di un uomo solo al comando, realizzando, di fatto, ciò che il Daily Mirror ha denunciato, ossia la volontà dei gruppi finanziari internazionali come JP Morgan: superare le rigidità delle costituzioni europee post belliche. Franco Fracassi , da popoff.globalist.it, scriveva, infatti, già il 14 aprile 2014: “Due cene organizzate per convincere Renzi a seguire i consigli di Blair, oggi consulente della JpMorgan. Obiettivo: disfarsi della Costituzione antifascista. Una cena per decidere, una per confermare le decisioni. Primo giugno 2012, primo aprile 2014. Due protagonisti sempre presenti: il presidente del consiglio Matteo Renzi, l’ex premier britannico Tony Blair. Un terzo (presente con suoi rappresentanti) è l’organizzatore, il vero beneficiario dei frutti degli incontri: la banca d’affari JpMorgan. Scrive il quotidiano britannico “Daily Mirror“: «Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La JpMorgan».
Riforma delle Provincie, riforma del Senato, riforma del lavoro, riforma della pubblica amministrazione, riforma della Giustizia, riforma del consiglio dei ministri, riforma elettorale. La Costituzione italiana, quella votata dopo la vittoria sul fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, quella pensata per impedire una futura svolta autoritaria nel Paese sta per essere stravolta. Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi. Così ha suggerito la JpMorgan.
I fatti. Il primo giugno 2012 la banca d’affari statunitense organizza una cena a palazzo Corsini a Firenze. Il padrone di casa Jamie Dimon (amministratore delegato della JpMorgan) invita l’allora sindaco della città Renzi e il già ex primo ministro, e da quattro anni consulente speciale della banca, Blair. Il primo aprile 2014 la scena di sposta Oltremanica. Questa volta gli onori di casa lo fa l’ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano. Durante la cena a base di pesce Renzi e Blair discutono in privato. Il giorno successivo Blair rilascia un’intervista a “La Repubblica”, in cui afferma: «I momenti di grande crisi sono anche momenti di grande opportunità. In tempi normali sarebbe difficile per chiunque realizzare un programma ambizioso come quello delineato dal nuovo premier italiano. Ma questi non sono tempi normali per l’Italia. Renzi comprende perfettamente la sfida che ha di fronte. Se facesse solo dei piccoli passi rischierebbe di perdere la spinta positiva con cui è partito. Perciò c’è una coerenza tra il suo programma di riforme costituzionali e le riforme strutturali per rilanciare l’economia. E la crisi può dargli l’opportunità per compiere quei cambiamenti che sono necessari al Paese, ma che finora non sono mai stati fatti per le resistenze di lobby e interessi speciali».
E ancora: «A mio parere occorre calibrare tre elementi: la riduzione del deficit, che è essenziale; le riforme necessarie per cambiare politica economica; e la crescita non solo per generare occupazione ma anche per portare più denaro nelle finanze pubbliche. Per fare tutto questo non serve la contrapposizione destra/sinistra, bensì quella tra giusto e sbagliato, fra ciò che funziona e ciò che non funziona. Se la riduzione del deficit è troppo veloce, la crescita non riparte. Ma se non si fanno le necessarie riforme, il deficit non si riduce. E mi sembra che questo Renzi lo abbia capito benissimo».
In un’altra intervista, rilasciata al quotidiano britannico “The Times”, sempre Blair ha detto: «Il mutamento cruciale, delle istituzioni politiche, neanche è cominciato. Il test chiave sarà l’Italia: il governo ha l’opportunità concreta di iniziare riforme significative».
Ricapitolando. Blair ha confermato il suo appoggio a Renzi sulla strada delle riforme. Ma come abbiamo ricordato non è più il politico che parla. Oggi il fu leader dei laburisti riceve uno stipendio di milioni di dollari l’anno per fare da consulente a una delle più importanti banche d’affari del mondo (seconda solo alla Goldman Sachs), formalmente denunciata dalla Casa Bianca di essere stata la «responsabile della crisi dei subprime», che ha poi scatenato la crisi economica mondiale.
Ha scritto l’economista statunitense Joseph Stiglitz: «Le banche d’affari si servono di consulenti come la massoneria si serve dei propri membri. I consulenti oliano gli ingranaggi della politica, avvicinano i politici che contano alle banche giuste e promuovono presso di loro politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche».
Che cosa si intende per «politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche»? Il 28 maggio 2013 la JpMorgan ha redatto un documento di sedici pagine dal titolo “Aggiustamenti nell’area euro”. Dopo che nell’introduzione si fa già riferimento alla necessità di intervenire politicamente a livello locale, a pagina 12 e 13 si arriva alle Costituzioni dei Paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti: «Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea».
«I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo», prosegue l’analisi della banca d’affari.
Andando avanti nella lettura il documento entra più nello specifico:
«I sistemi politici e costituzionali del Sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».
Riassumendo, la JpMorgan ci dice: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.
«L’idea d’uno Stato dove i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario appartengano a organi diversi e siamo tutti eguali davanti alla legge» a esser malvista dalla parte dominante nel Ventunesimo secolo. Soprattutto, sono malviste le Costituzioni nate dalla Resistenza. Specie quelle del Sud Europa: in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo», denuncia il giurista Franco Cordero.
Per l’economista Emiliano Brancaccio: «Maggiore è il potere del parlamento, più è difficile ridimensionare lo stato sociale. Un orientamento di segno opposto, invece, mira a redistribuire il reddito favorendo il profitto e le rendite, non certo a un ammodernamento del Paese. Nella Costituzione italiana e in quelle antifasciste ci sono norme che vincolano la tutela della proprietà privata, che può essere espropriata per fini di pubblica utilità. Le istituzioni finanziarie hanno spesso interesse a realizzare acquisizioni estere di capitali nazionali, e dunque hanno interesse a garantire che la proprietà del soggetto straniero che acquisisce sia tutelata. Con queste Costituzioni il soggetto straniero che viene ad acquisire spesso a prezzi stracciati capitale nazionale di Paesi in difficoltà non è totalmente tutelato perché potrebbe essere espropriato. Dietro la parolina magica “modernizzazione”, spesso pronunciata da JpMorgan, c’è dunque la tutela degli interessi di chi vuole venire a fare shopping a buon mercato in Italia e in altri paesi periferici dell’Unione europea».
Scrisse l’ex Cancelliere socialdemocratico tedesco Willy Brandt: «Bisogna correggere la democrazia osando più democrazia».
Questo è quanto scrisse Franco Fracassi il 14 Aprile 2014. E’ strano, o forse, perfettamente in linea con il pensiero unico che si tende a realizzare, dopo l’occupazione sistematica di tutta l’informazione RAI e di larga parte degli altri media giornalistici da parte del “giovin signore fiorentino”, che sia sottovalutata la circostanza denunciata dal quotidiano londinese mai smentita. Ridicola, poi, la tesi dei sostenitori del SI del presunto snellimento delle procedure parlamentari, atteso che con la riforma-deforma non si elimina il Senato, né si realizza la tanto agognata fine del bicameralismo perfetto, mentre, costituendo di fatto un confuso e farraginoso bicameralismo imperfetto, si rende ancor più complicata la formazione delle leggi. Basta confrontare l’art 70 nella versione originaria della Carta e quella illeggibile della nuova, che sembra scritta da analfabeti giuridici, foriera di contenziosi permanenti tra gli organi istituzionali.
E, allora, solo per aver diminuito un po’ di parlamentari e il CNEL, si dovevano modificare quarantasette articoli della Costituzione, oltre tutto nelle modalità di sostanziale illegittimità in cui il Parlamento dei “nominati” illegittimi ha proceduto?
Spiace che Annamaria Furlan, indegna erede dei Pastore, Storti, Macario, Carniti, Donat Cattin, abbia espresso il suo endorsement per il SI, contraddicendo una cultura politica di ispirazione popolare e democratico cristiana sempre fedele ai valori fondanti della Repubblica italiana.
Quando anche il sindacato è in ginocchio o, peggio, prono ai voleri di un governo come quello farlocco de “ il Bomba”, tempi tristi si annunciano per la democrazia italiana.
La speranza che rimane é quella che noi più anziani democratici, esponenti delle antiche culture, si sappia indicare alle nuove generazioni la strada più opportuna, ossia quella del NO alla deforma del trio toscano, per garantire a tutti lo status di cittadini e non quello dei sudditi cui inevitabilmente ci condurrebbe l’eventuale vittoria del SI.